Altro che “Il giro del mondo in ottanta giorni” di Phileas Fogg e del cameriere Passepartout dell’autore francese Jules Verne, qui si batte, anzi si dimezza, i giorni dell’avventuroso viaggio del romanzo francese e questo record sarà proprio di un francese, François Gabart.
“Il traguardo è lì. Lo posso quasi toccare. Ma non mi esalto troppo. Evito di festeggiare concentrandomi al massimo”. Così François Gabart sta vivendo gli ultimi giorni, le ultime ore del suo giro del mondo che è ormai giunto alle battute finali. Al rilevamento di questa mattina allo scadere dei 39 giorni di navigazione gli mancano poco più di 1300 miglia ed è in vantaggio di 5 giorni e 6 ore sul tempo del primato da battere: quello di Thomas Coville di 49 giorni e 3 ore. “Non so davvero come mi sento”, spiega il navigatore francese che nel 2013 vinse la regata in solitario attorno al mondo: il Vendée Globe. Allora a bordo di un monoscafo di 18 metri impiegò poco più di 78 giorni. Ora su Macif, trimarano di 30 metri per 21, potrebbe farcela in meno di 44. “Davvero non so come finirà questa storia. Non so come mi sento. È come al Vendée. Avevo un buon vantaggio su Armel (Armel le Cleac’h, che giunse secondo), e le sensazioni sono le stesse: un misto di piacere, di felicità e di orgoglio. Sono sentimenti che vogliono esplodere. Ma non è ancora il momento”.
E quando sarà il momento, quando taglierà la linea tra Ouessant e Cape Lizard, all’ingresso della Manica, François Gabart potrà finalmente dire anche addio alla fatica, la sua compagna in questo viaggio cominciato lo scorso 5 novembre. Perché è lei, la fatica, a dominare su una barca come Macif che sull’albero di 35 metri può alzare 650 metri quadrati di vele e un campo da tennis è solo di 230 metri quadrati. Vele da controllare manovrare, regolare girando le manovelle del coffee grinder, del “macinino del caffè”, collegato ai verricelli. In questi 40 giorni il conta-giri del coffee ha superato anche quota 3500 nell’arco delle 24 ore. Vele anche da cambiare a seconda del vento e della rotta o da riparare. E poi tutto quanto serve a mandare avanti la barca con derive da alzare, da abbassare, impianti da controllare. Anche farsi da mangiare. Perché si deve, ma anche quello è una grande, continua, fatica. “Lei è proprio lì. Non la vedi ma sai che c’è. La fatica viene avanti lentamente, malvagia, come per cullarti mentre cerchi di essere attendo, vigile. E ti entra dentro. Inesorabile. Entra assieme al suo fedele amico: il dolore. Lui ti contrae i muscoli, ti paralizza le mani. Provi dolore. Ti fa male tutto. E sai che ci vorranno settimane, forse mesi nella tranquillità a terra perché se ne vada via”.
E per combattere la fatica e il dolore non serve stare in cuccetta, cercare di riposare nella propria barca a vela. Non è la soluzione. Serve solo, come ha raccontato Gabart, a rallentare la vittoria del dolore. Più di 40 giorni di questa vita, anche se nei video Gabart, 34 anni, capelli biondi al vento, sempre sorridente, sembra stia facendo una crociera. Ma basta guardare sul mappamondo la sua rotta che l’ha portato ai confini dell’Antartide o che la telecamera inquadri alle sue spalle la scia della barca che scappa via a velocità impressionanti (ha toccato punte di 39 nodi, che sono 72 km/h) oppure che in lontananza s’intravveda la sagoma di un iceberg, per capire che il giro del mondo di François Gabart, come quello di tutti quanti hanno seguito questa rotta, è stato soprattutto una scommessa con l’imprevisto. “Che io sia sveglio o che stia dormendo gli oggetti galleggianti alla deriva contro cui andare a sbattere o le condizioni meteo sono cose che non posso controllare. Cerco di non pensarci. L’unica cosa che posso fare è prevedere lo scenario peggiore. Per questo devo essere fisicamente e mentalmente in forma per, nel caso, trovare il modo per arrivare in fondo a questa avventura”.
Questa la semplice ricetta di François Gabart per reggere lo stress che dal 5 novembre l’accompagna nel suo giro del modo. Stress che resta anche se, grazie a satelliti, internet e computer, non gli è mai mancato il contatto con la terra. “Per me è importante mantenere questo contatto. È vero: sono un navigatore solitario, ma sono anche un essere umano, faccio parte della società, sono un marito e un padre”. Ma alla fine anche la più sofisticata tecnologia serve a poco in un giro del mondo in solitario. “Fatica e dolore. Quando sei in mare non hai scelta. Li accetti. Ti ci abitui. Saranno i tuoi compagni fino alla fine. Ci parli. Provi a giocarci. E cerchi di mediare. Molto…”. Se François Gabart mantenesse la media delle ultime 24 ore potrebbe tagliare la linea anche domenica dopo 44 giorni di navigazione. Cinque in meno del vecchio record. Qualcosa di incredibile. E per François Gabart sarebbe arrivato il momento per far esplodere quello che a 1300 miglia dal traguardo gli bolle dentro: piacere, felicità e orgoglio.
“La passione è un sentimento impetuoso, basato sui piaceri procurati dai sensi umani e che può impedire il controllo della ragione. La causa scatenante è una forte attrazione che la persona prova verso un soggetto o una cosa esterna. Caratterizzata da un desiderio ardente per qualcuno o per qualcosa, con la complicità di una forza che investe in modo violento e indiscriminato”- ecco cosa dicono gli psicologi della passione, quel sentimento che ha portato Gabart a compiere questa impresa che entra di diritto nella storia.